Alcune nozioni di storia dal sito del Comune della Spezia:
http://www.comune.laspezia.it/conoscerecitta/itinerari/acquasanta.html
Un raccontino scritto da me e pubblicato su "Storie di Quartiere 2002"
ACQUASANTA,
OH ACQUASANTA.
Vivere
in un paese è un’impresa ardua che può diventare titanica se il
borgo è molto piccolo.
Quando
poi questo, non è nemmeno un paese, ma una “frazione” come
l’Acquasanta, sono proprio dolori.
A
proposito, perché si chiamerà frazione?
Sarà
perché mi ricorda la matematica ma la parola non mi piace molto. Comunque,
l’Acquasanta, oltre a essere un piccolissimo agglomerato di case
con un cimitero enorme è, dal punto di vista geografico, in una
delle posizioni più felici del nostro bellissimo golfo.
Racchiusa
a sud dalla Grande Muraglia dell’Arsenale, lungo la quale scorre la
statale per Portovenere, e dagli altri tre lati dalle colline, vede
il sole presto la mattina e il buio tardi la sera, questo mentre un
frizzante venticello, proveniente da Campiglia, la percorre durante
tutto l’arco della giornata e rende superflui i condizionatori d'aria ma utilissimi i termosifoni...
Dista
solo tre chilometri di strada dalla città, ma ne è lontana anni
luce in termini di abitudini; poche centinaia di metri dal mare e non
è nemmeno aperta campagna. Insomma, non è né carne, né pesce.
Per
quanto riguarda i suoi abitanti, quelli del nucleo originale ovvio,
sono talmente pochi da considerarsi parte di un’unica famiglia,
ragion per cui non si muove una foglia senza
che tutti lo vengano a sapere. Nel bene e nel male.
Perciò,
se tu fumi una sigaretta a sedici anni e, quando torni a casa, tua
madre ti dà un sonoro ceffone, non chiederti perché ma chi ha fatto
la spia.
La
tua vicina di casa naturalmente che, vedendoti commettere l’atto
sacrilego, ha pensato bene di rendere partecipe i tuoi dei misfatti
che stai compiendo alle loro spalle. Se poi ti fidanzi o decidi di
tradire il coniuge, oppure ti muore il gatto è meglio che
tu metta, nella bacheca vicino al bar, dei manifesti per annunciare
l’accaduto, onde evitare che qualcuno fraintenda le tue reali
vicissitudini.
E’
pur vero che se hai un grave problema di salute e vivi solo, come
minimo dieci persone sono pronte a darti una mano.
Se
poi muore un tuo congiunto, o ti sposi, tutti ti faranno le
condoglianze o gli auguri e ti manderanno una corona di fiori o un
regalo.
Da
sempre esiste fra gli “acquasantini” e i “marolini”
un’aperta rivalità. Intanto perché Marola è un vero e proprio
paese e poi perché, essendo in collina, domina con lo sguardo un po’
altezzoso, il piccolo borgo che sorge ai suoi piedi. E poi Marola ha
anche la scuola, l’ufficio postale e la farmacia.
Vuoi
mettere la differenza?
Sì
va bene, però noi una volta avevamo il canale. Non è mica una cosa
da poco. E’ vero che, soprattutto d’estate, emanava un olezzo
insopportabile e pullulava di ratti e zanzare, però sui suoi argini
i ragazzi si fidanzavano e nel suo letto si faceva l’albero
della cuccagna e la gara della pastasciutta.
Questo
bisogna ammetterlo: la festa patronale veniva celebrata meglio nei
bassifondi. Nei primi giorni di Luglio, tutte le case esponevano le
loro luminarie e poi arrivava la giostra
e il tiro a segno. La sera della festa si accendevano i falò sul
piazzale del piccolo Santuario e, mentre le fiamme riverberavano sui
loro volti, grandi e piccini si affumicavano ben bene ma erano
felici, comunque, di condividere un momento speciale e di tornare a
casa puzzolenti e con gli occhi arrossati. In ogni casa si preparava
la torta di riso salata da offrire a quelli che venivano a fare
visita e la banda suonava
tutto il pomeriggio della domenica.
Poi
un giorno è arrivato Zanzarick a protestare e, a forza di appendere
cartelli e topi morti lungo la strada, il torrente Caporacca è stato
nascosto per sempre da uno strato d’asfalto
e i giovani, ormai motorizzati, hanno cominciato a pomiciare altrove,
l’albero della cuccagna è stato fatto a pezzi e bruciato in
qualche stufa e la pastasciutta, per motivi igienici, è meglio
mangiarla al ristorante o a casa propria.
Finiti
gli stimoli mondani anche la ricorrenza ha perso la sua importanza e,
quelli che si erano trasferiti altrove, hanno cessato di tornare.
I
bambini che giocavano nei treggi, sorvegliati dalle mamme, sono
diventati adulti e, avendo paura che i propri figli potessero farsi
male, hanno chiesto e ottenuto che questi fossero interrati salvo
poi, una volta diventati nonni, chiederne la riapertura per ritrovare
le tracce della passata infanzia felice. La vecchia stradina
polverosa è stata asfaltata perciò, quando piove, nessun detrito
scende a ostruire la strada principale e, dal momento che la grande
cava è ormai in disuso, nessun camion e nessuna ruspa turbano la
quiete degli abitanti. Il calzolaio è morto e nessuno ha preso il
suo posto, è stata chiusa la macelleria, uno dei due forni, entrambi
i negozi di frutta e verdura e il tabacchino-cartoleria dove noi, da
piccoli, compravamo le merendine e i quaderni.
I
platani della chiesa continuano a offrire la loro ombra agli unici
due vecchi sopravvissuti all’ incedere impietoso del tempo.
Sono
arrivati dei “forestieri” e le case, mai restaurate, si sono
scrostate e ingrigite. Però, ogni anno, tornano i grilli e le
lucciole a turbare la quiete della notte estiva e i papaveri ad
arrossare i cigli dei fossi mentre la valeriana sporge con arroganza
dai muri diroccati e, quando guardo i cavalli pascolare fra gli
olivi, penso che, tutto sommato, continuerò a vivere qui.